Come genitori, il nostro primo pensiero è quello di mettere al primo posto il benessere dei nostri figli, sia che siano piccoli, magari ancora neonati, sia quando ormai sono grandi, magari anche vicini all’età adulta. Questo è uno degli aspetti che difficilmente tende a cambiare, perché il voler bene ai nostri figli si traduce spessissimo nel volere il loro benessere, nel maggior numero possibile di ambiti della loro vita.
Potrebbe succedere che, proprio in virtù di questo pensiero, in alcune situazioni specifiche possiamo diventare particolarmente preoccupati per i nostri figli, cercando, di conseguenza, di stare loro il più vicino possibile, per poterli supportare in un momento che percepiamo essere difficile.
Tuttavia, quando questa preoccupazione nei loro confronti diventa davvero molto frequente, possiamo diventare genitori apprensivi, concentrati a mostrare ai nostri figli quali siano gli aspetti che destano in noi questa apprensione, e dai quali vogliamo ragguardarli.
Ma essere genitori apprensivi è sbagliato? Secondo noi, dare un giudizio di giusto o sbagliato non è mai una strategia efficace per affrontare il delicato e complesso lavoro di essere genitori: la domanda, per questa ragione, è impropria. Essere genitori apprensivi non significa assolutamente essere genitori cattivi, ma è semplicemente una caratteristica che, in alcuni genitori, è più marcata che in altri.
L’apprensione per i nostri figli, come sappiamo, arriva dalla volontà di essere presenti per loro e di aiutarli nel loro sviluppo. Tuttavia, l’essere apprensivi può diventare controproducente nei confronti del proprio figlio o della propria figlia nel momento in cui questo vissuto diventa troppo frequente e/o troppo intenso rispetto all’elemento originario che ci ha preoccupato in primo luogo.
Quando l’apprensività diventa così intensa da essere una preoccupazione eccessiva, e quindi sfociare nell’ansia, potrebbe spesso tradursi in frequenti comportamenti ed atteggiamenti iperprotettivi, mirati a proteggere i propri figli da qualsiasi situazione di pericolo.
Se questo può essere sicuramente funzionale ed efficace in situazioni oggettivamente molto pericolose, come dei comportamenti distratti sul ciglio della strada trafficata o il gioco con oggetti metallici vicino a delle prese di corrente, può diventare invece meno utile in situazioni di pericolo minore, come, per esempio, quando nostro figlio passa la serata a casa dei propri amici, oppure quando bisogna togliere le rotelle alla prima biciclettina della nostra figlia più piccola.
Altri esempi di situazioni nelle quali l’apprensione non gioca a favore dei nostri figli sono quelle in cui vogliamo essere sempre presenti mentre fanno i compiti per evitare che prendano un brutto voto (e quindi per proteggerli da possibili sentimenti di frustrazione e delusione), o anche quando si domandano più e più dettagli sulle loro uscite di svago con gli amici.
Anche se alla base di queste azioni c’è la volontà di fare il loro bene, l’utilizzo di queste modalità impedisce, come abbiamo detto, che i nostri figli sperimentino sentimenti come l’imbarazzo o la tristezza e, di conseguenza, non gli consente di imparare a ricercare delle soluzioni a questi situazioni di disagio in maniera autonoma. Il rischio è quindi che queste preoccupazioni molto forti diventino deleterie, a lungo andare, sia per i figli che per i genitori, andando ad intaccare la relazione.
Infatti, l’iperprotettività mina innanzitutto lo spazio di autonomia del figlio, e questo può venire da lui percepito come un mancato riconoscimento, da parte del genitore, delle proprie capacità. Una delle conseguenze potrebbe quindi essere di uno svantaggio nella formazione di una solida autostima da parte del figlio. Inoltre, l’iperprotettività come modalità ricorrente porta i figli a non incontrare ostacoli nel proprio percorso: non imbattersi in ostacoli significa non poter imparare da essi, e di conseguenza non sapere come affrontarli.
Questo può portare, ad esempio, a non avere degli strumenti efficaci per gestire i conflitti, che potrebbero venire vissuti in modi problematici nell’adolescenza e poi anche nell’età adulta. Il ragazzo o la ragazza potrebbero non sapere come comportarsi con le altre persone in queste situazioni, oppure potrebbero anche avere difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità, non avendo mai imparato davvero a farlo.
Il rischio generale dell’iperprottetività, quindi, è che ai nostri figli venga passato il messaggio di non essere in grado di cavarsela senza il nostro aiuto, e che questo messaggio venga interiorizzato da loro, incidendo negativamente sulle loro capacità e sul loro sviluppo.
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