Si può insegnare la regolazione emotiva fin dalla culla?
Quando parliamo di regolazione emotiva, ci riferiamo alla capacità di un individuo di percepire, modulare ed esprimere le emozioni, positive o negative. Gross, uno dei più importanti studiosi dell’argomento, la definisce come il processo attraverso il quale gli individui influenzano le proprie emozioni (attenuandole, intensificandole o mantenendole), il momento in cui provarle, come viverle e come esprimerle.
Lo sviluppo della capacità di regolare le proprie emozioni inizia fin dai primi mesi di vita. Anzi, sembra che proprio le abilità apprese nella prima infanzia siano più strettamente connesse ad un sano sviluppo psicologico, che permetta di raggiungere un benessere psico-fisico.
Capire come funziona la regolazione emotiva nei primi mesi può aiutare i genitori a essere maggiormente consapevoli di quanto sia importante prestare attenzione a come ci si prende cura dei propri bimbi, perché le piccole azioni quotidiane influenzano il loro sviluppo psicologico.
Nel primo anno di vita del bambino il ruolo dell’adulto (in particolare del o dei genitori che si prendono maggiormente cura del bambino, detti caregiver) è fondamentale.
Innanzitutto, il genitore risponde alle esigenze concrete del bambino, come ad esempio la fame, il bisogno di essere pulito, di calore; queste esperienze possono generare nel bambino emozioni molto intense. Anche queste azioni del genitore, quindi, svolgono un ruolo di regolazione emotiva, perché aiutano il bambino a calmarsi e a ritrovare uno stato emotivo di tranquillità e pace.
Inoltre, il caregiver aiuta il bambino a dare un significato alle proprie esperienze. L’adulto è in grado di interpretare i segnali del bambino (ad esempio, il pianto) e aiutarlo a modulare e gestire le sue emozioni. Si tratta di un dialogo con due partecipanti: il contatto fisico e il suono pacato della voce del genitore, messi in atto in risposta alla comunicazione di disagio del bambino (il pianto) lo aiutano a calmarsi; a sua volta, anche il genitore si calma in risposta alla calma trasmessa al proprio figlio.
Risulta quindi evidente come, nei primi mesi di vita, la regolazione emotiva sia un processo “diadico”, che coinvolge sempre due attori: il bambino e il caregiver.
Ma cosa succede quando il genitore non è immediatamente disponibile?
Le ricerche mostrano come, già a pochi mesi, i bambini vi siano molto sensibili e provino stress e disagio quando il genitore non risponde. Questo dimostra l’importanza del ruolo di regolatore esterno delle emozioni del caregiver.
In questo caso, il piccolo mette in atto delle strategie di “auto-regolazione emotiva”, ovvero dei comportamenti per cercare di controllare il proprio stato emotivo e gestire autonomamente lo stress.
Alcuni esempi di questi comportamenti sono distogliere lo sguardo dalla fonte di stress (ad esempio, il genitore distratto che non gli risponde), mettersi le mani in bocca o manipolare i propri indumenti per calmarsi. Oppure, vi sono anche strategie che mirano ad ottenere l’attenzione e quindi l’intervento dell’adulto, come vocalizzazioni, agitarsi, guardarlo intensamente.
Concludiamo con alcune doverose precisazioni.
Innanzitutto, sottolineiamo come non sia necessario che l’accudimento del bambino da parte dei caregivers sia perfetto: l’importante è che sia “sufficientemente buono”, ovvero che tenga conto di bisogni ed esperienze del bambino nella sua fase dello sviluppo e che i comportamenti di genitori e bambini siano sintonizzati per una buona parte delle volte.
Gli occasionali “errori e fallimenti” nelle risposte del genitore ai bisogni del bambino sono una parte non solo naturale, ma anche essenziale del processo: in conseguenza alla somma di tutte le proprie esperienze, il bambino svilupperà capacità di regolazione emotiva sempre più autonome. Imparerà a “chiedere” quando vorrà che un suo bisogno venga soddisfatto, poi a soddisfarli da solo. E saprà tollerare le emozioni negative, imparando a calmarsi da solo.
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